La valutazione dello stress termico in presenza di...

2022-11-07 15:21:15 By : Mr. minfeng chen

Un intervento affronta la valutazione dello stress termico per quei lavoratori che indossano abbigliamento protettivo ad alto isolamento rispetto all’ambiente esterno e per i quali non sono applicabili gli standard internazionali.

Bologna, 9 Giu – I lavoratori che sono esposti al caldo “subiscono uno stress termico che può incidere sulla loro salute, comfort e sulle loro prestazioni”. E lo stress termico può anche “condurre alla morte”.

Inoltre quando il tempo meteorologico diventa molto caldo “il numero di decessi può crescere in modo considerevole, soprattutto tra i soggetti più vulnerabili”. E benchè “nel contesto occupazionale l’esposizione al calore sia molto meglio governata che in quello del pubblico generico”, nel contesto occupazionale sono diversi i lavoratori che possono essere soggetti alle conseguenze del rischio termico.

A soffermarsi sul tema dello stress termico - un tema importante anche in relazione ai fattori di discomfort legati al periodo estivo – è un intervento al convegno “dBA2018 – I rischi fisici nei luoghi di lavoro” che si è tenuto a Bologna, durante la manifestazione “Ambiente Lavoro”, il 17 ottobre 2018, organizzato da Regione Emilia Romagna, Inail e Ausl Modena. Un intervento che affronta la valutazione dello stress termico di quei lavoratori che indossano abbigliamento protettivo ad alto isolamento rispetto all’ambiente esterno (ad esempio per protezione da agenti batteriologici, chimici, calore, polveri, …) e per i quali non sono applicabili gli standard internazionali a disposizione dell’igienista.

L’intervento è stato pubblicato nel volume “dBA2018 – I rischi fisici nei luoghi di lavoro”, curato da S. Goldoni, P. Nataletti e N. Della Vecchia, che raccoglie gli interventi all’omonimo convegno bolognese.

Nell’intervento “Valutazione dello stress termico per lavoratori sottoposti ad alti carichi, in regime di non applicabilità delle metodiche WBGT e PHS” – a cura di Alessandro Merlino, Gianluca Gambino, Daniele Meda, Gabriele Quadrio (CeSNIR) – si ricorda che riguardo al rischio termico un “fattore discriminate è l’abitudine al calore; è infatti stato spesso riscontrato come i maggiori problemi interessino coloro che non sono abituati né fisicamente, né psicologicamente ad affrontare il caldo”. E un altro elemento chiave “è la sottovalutazione del rischio, spesso percepito minore di quello reale, talvolta aggravato da un’eccessiva responsabilizzazione al dovere e/o motivazione allo svolgimento del proprio compito”.

Tra gli esempi portati dei lavoratori a rischio ci sono anche i gruppi di pronto intervento che indossano abbigliamento protettivo di tipo CBRNE (Chemical Biological Radiological Nuclear and Explosive) come sanitari, vigili del fuoco, militari.

Riguardo alla dimensione del rischio si ricorda che, come riportato in letteratura, “nonostante i numerosi pericoli sul piano antincendio, la principale causa di decessi sul campo, tra i vigili del fuoco negli Stati Uniti è la morte per arresto cardiaco (50% dei decessi totali)”. E condizioni di alto rischio possono verificarsi, ad esempio, “anche nell’industria siderurgica, in quella della panificazione, in quella automobilistica, dell’estrazione del petrolio, a bordo di imbarcazioni e navi”.

Ricordiamo che sono due “i metodi definiti a livello internazionale e recepiti anche in Italia per l’accertamento dei rischi connessi con lo stress termico da caldo a partire dalla caratterizzazione dell’ambiente termico”:

Come affrontare la valutazione dello stress termico per i lavoratori che indossano abbigliamento protettivo ad alto isolamento rispetto all’ambiente esterno e per i quali non sono applicabili gli standard internazionali?

Si indica che il Regno Unito “ha cercato di porre rimedio a questa lacuna con l’emanazione di uno standard nazionale, il BS 7963:2000 che non ha corrispettivi né ISO, né CEN”.

Inoltre a livello internazionale e nazionale rimane a disposizione “la norma UNI EN ISO 9886:2004, dal titolo “Valutazione degli effetti termici (thermal strain) mediante misurazioni fisiologiche”.  Questa propone diversi metodi per l’accertamento, ma solo quello che si basa sulla valutazione della frequenza cardiaca è attuabile senza ricorrere a tecniche invasive per l’addetto”.

Infine – continua l’intervento - è disponibile letteratura, “diffusa dalle forze armate statunitensi, emessa a fronte di un’interessante e dettagliata ricerca indirizzata a valutare la temperatura interna del nucleo corporeo a partire dalla lettura continua delle pulsazioni cardiache, con un metodo alternativo e più pratico, rispetto a quello proposto dalla ISO 9886”.

Veniamo alle conclusioni dell’intervento che ha dedicato un approfondimento alle situazioni occupazionali di stress termico da caldo, “in quei contesti in cui la protezione dei lavoratori da alcuni rischi, richiede di indossare un abbigliamento speciale”. Senza dimenticare le implicazioni di un abbigliamento protettivo sui meccanismi di termoregolazione: “l’impatto di questo vestiario sull’accumulo di calore della persona, può essere di grande entità”.

Considerato che in queste situazioni occupazionali “è escluso di poter ricorrere alle due metodiche esistenti a livello internazionale e maggiormente condivise”, i criteri che è possibile adottare risultano i seguenti tre:

L’analisi del metodo proposto dallo standard inglese “conferma quale grave sottostima si può compiere nel trascurare il reale abbigliamento del lavoratore quando differisce da quello più leggero preso in considerazione dai due metodi consolidati (paradossalmente questa lacuna è più grande nel caso del PHS, metodo più sofisticato dei due)”. E una situazione “valutata entro i gradi di libertà concessi dalla UNI EN ISO 7933 (PHS), rivalutata con i criteri della BS 7963”, può restituire “esiti opposti, passando da un livello di rischio trascurabile ad uno elevato”.

Riguardo poi ai due metodi basati sulla misurazione della frequenza cardiaca, ne è stata valutata la praticabilità:

Di questa seconda metodologia si ricorda che “è ai suoi albori e che gli stessi autori ne raccomandano una sperimentazione su una popolazione più eterogenea di quella presa in considerazione da loro”.

Tuttavia – conclude l’intervento - al giorno d’oggi questa metodologia “si presenta già come preziosa per esaminare i casi maggiormente critici di esposizione allo stress termico da caldo”. Ad esempio per i first-responders (addetti al pronto intervento) - tra cui esercito, forze dell’ordine, vigili del fuoco e sanitari – “se ne ritiene l’adozione fortemente raccomandabile per prevenire le più gravi patologie, se non il decesso per cause da stress termico”.

Scarica il documento da cui è tratto l'articolo:

Regione Emilia Romagna, Inail, Ausl Modena, “ dBA2018 – I rischi fisici nei luoghi di lavoro”, a cura di S. Goldoni, P. Nataletti e N. Della Vecchia, pubblicazione che raccoglie gli atti dell’omonimo convegno - Bologna, 17 ottobre 2018 (formato PDF, 7.76 MB).

Vai all’area riservata agli abbonati dedicata a “ I rischi fisici nei luoghi di lavoro - 2018”.

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