Gomma e tsuruhatensis: la fatàl degradazione - Microbiologia Italia

2022-11-07 16:11:53 By : Mr. Longtime LT

La gomma sì, è una materia naturale. Cavata a forza di tagli dal tronco di antichi alberi tropicali. Sangue colato, bianco, tra le dita indigene, artefici per forza d’un’occidentale oppressione; nell’esosa esplorazione settecentesca. Poi l’entusiasmo non bastò più; l’estratto lattescente era promettente, certo, ma debole agli usi. C’era da lavoraci su. Bisognava irrobustirlo; ottunderlo, d’un’elasticità senza occasione. Così, intercalato da zolfo ed additivi, è divenuto tutto. Tutto il nostro motorizzato civile orizzonte. Oggi, però, invecchiando irriducibile, si accumula; e grava sul sistema-ambiente che lo disconosce. O forse no. L’ultima renitente speranza si chiama Delftia tsuruhatensis. Ed al suo consorzio batterico, forse, l’artefatta gomma interessa.

Quella gomma, che cambiò passo e consistenza al mondo, in appena cento anni. Quanto costò al valore dell’uomo il suo frenetico estrarre e martoriare, sopprimere e schiavizzare etnie intere; padrone queste delle pratiche e non di se stesse; non della venerata natìa terra. La giungla amazzonica, che improvvisamente divenne «La voragine»: così la disse Josè Eustacio Rivera, titolando un novella. Letteraria trasposizione di una terrifica credenza locale; che tale considerava ormai quella giungla avìta, sembrante affamata di corpi, i quali, addentrati per mungerne il fibroso lattice, scomparivano per sempre. Sotto i colpi ignoti, invece, ignobili e insoddisfatti di carcerieri autorizzati; illividiti ingordi, di rese e di profitti (figura 1).

Ed anche, quanti falliti tentativi duràron fatica nell’esportazione delle sementi. Gli anelati alberi, erano Hevea brasiliensis (figura 2), di ecuadoreña voce «jebe», e prima arabica «šabb»; sul cui semantico segno affiora tanto “gomma” quanto “allume”, in un suolo arcano ed argilloso che entrambi genera, minerale ed Euphorbiacea. Troppo pimpante e zuccherina, esposta al caldo tropicale, la cariosside, per proteggere il suo germe vegeto, nelle lunghe traversate a vela volte al Giardino Botanico Reale di Kew di Sua Maestà Britannica.

Finchè fortuna incontrò pervicacia, nel 1876, su una veloce nave a vapore, che aveva risalito il Rio delle Amazzoni, e che scarica di merci tornava poi nella madrepatria. Fu allora che Henry Wickham incise il suo nome sulla crosta del mondo: a lui si deve, infatti, la raggiunta occidentàl germinazione; e l’ingresso nostro in una nuova età.

Nel torno d’anni che dall’ultimo quarto del secolo XVI giungeva al seguente XVII, il genere Hevea già constava di 10 specie note e 3 varietà. Non tutte stillanti lattice, che della gomma è essenza non esclusiva. Ma solo le specie guianensis, benthamiana, e brasiliensis offrivano ignare e corticalmente offese il loro fluido favoloso.

Poi, il 1823 portò per bocca di Charles Macintosh l’annuncio di inedita labilità della gomma nativa nella nafta. Fabbriche in Europa ed in America su ciò nacquero, e di ciò perirono. Tanto vischioso alle alte temperature e fragile alle basse, era il materico fluido.

Fino a Goodyear, il Charles che col suo auguràl cognome procurò che quell’anno, il 1839, davvero tale fosse. La vulcanizzazione. Da allora la vita non fu più la stessa. Anno dopo anno di questa Lunga Modernità, la gomma ha visto crescere il suo valore, e la sua richiesta correlata alla diffusione degli pneumatici. Un simile e rapido incremento produttivo, tuttavia, improvvidamente affiancato dalla impossibilità di riciclo del materiale e dalla lunghezza dei naturali tempi di degradazione, sfociò in un ennesimo accumulo muto. Cui non può che seguire oggi rischio combustivo, sviluppo e proliferazione di parassiti, ed ovvia cessione di elementi tossici nel suolo delle nostre estensive ed intensive colture.

Alla luce di tali e tante ecosconvenienze, gli pneumatici sono oggi considerati inquinanti irriducibili, congeneri di plastica e suoi dissemini derivati.

Per provare a scongiurare un’ennesima gradazione d’amaro a venire, la ricerca condotta da Sarelia M. Castañeda Alejo e colleghi s’incentra sull’individuazione di una provvidenziale congrega microbica, che pare tenderci una mano in mezzo al guado. Già ceppi di Gordonia e di Xanthomonas, intanto, avevano dimostrato in passato competenza degradativa, in contingenze d’acqua e terra condannate alla dannata contaminazione chimica.

Un frammento di pneumatico sommerso in area paludosa prossima al fiume Socabaya, ad Arequipa, Perù, ha fatto da matrice di partenza. Il campione possedeva le caratteristiche opportune per le valutazioni sperimentali: fessurazioni superficiali, superficie tappezzata di vegetazione e d’organismi animali a livello delle concavità residue del consunto battistrada.

Il campione di gomma ha dunque subìto sospensione in MSM per 7 mesi, durante i quali gli operatori hanno provveduto ad effettuare un prelievo dalla soluzione di degradazione, pari a 100 μL, stemperati in altrettanti di cloroformio e reagente di Schiff. Lo scopo di tale passaggio risiede nella ricerca di eventuali metaboliti di degradazione della gomma, che facciano sperare in un processo microbico in corso.

Subito dopo, i ricercatori hanno allestito uno Sturm Test, consistente nella filtrazione della gommma di pneumatico; raggiunti gli 850 μm di diametro del particolato, i frammenti hanno raggiunto il sistema di degradazione fino allo 0.5% della concentrazione ponderale del volume. Le condizioni di crescita hanno previsto agitazione orbitale a 150 rpm, 35°C ed aerazione costante.

Quanto emerso dall’andamento della curva di crescita, attesta una fase esponenziale dal giorno 1 al giorno 4; fase stazionaria dal giorno 5 al giorno 20; punto d’inizio di decrescita dopo il giorno 30. Ma con ravvisato recupero di popolazione al giorno 35.

Nella matrice gommosa, la rilevazione di frazioni significative di CO2 farebbero ben sperare. Così, all’inizio della prova sperimentale, poi ogni 2 giorni, ed in seguito ogni 5 giorni, rilevazione del parametro non è mancata. Il picco, dunque, corrispondeva al ventesimo giorno di crescita, quindi in piena fase stazionaria. E questo al netto di aggiunte di medium di crescita e di alcuna fonte di carbonio.

Necessaria osservazione dell’indebolimento della superficie della gomma, i ricercatori l’hanno raggiunta con analisi d’immagine SEM. I campioni trattati e consistenti in consorzi batterici, hanno preventivamente subìto lavaggi con opportuno SDS ed acqua distillata; quindi risciacquati con etanolo al 70%, per l’asportazione di cellule non vive, dopo incubazione di 20 giorni. E la superficie gommosa dimostrava la sua rugosità e crescente ruvidezza in degradazione.

Brillante tecnica analitica, la metagenomica viene chiamata alla identificazione dei componenti microbici del salvifico consorzio, impiegando tecnicha NOS, con target di sequenziamento costituito da rRNA 16S. Una clusterizzazione delle generazioni microbiche è valsa alla proficua amplificazione del segnale, consentendo così l’ottimizzazione dei parametri di sequenziamento; per confrontare poi efficacemente le letture con le libraries genetiche.

Da tali raffronti, emerge prevalente il ceppo Delftia tsuruhatensis (69.12%); ammesso come nuovo stipite competente in processi di degradazione della gomma. Non identificato, resta tuttavia un gruppo di microrganismi che rappresenta ben il 15.69% del totale; solletica questo la curiosità sperimentale, naturalmente, e reclama indagini prossime in tal direzione, pur consci, gli orperatori, delle note lacune in sede di banca dati di germoplasma.

Tra le minoranze, il sequenziamento indica Delftia laustris (3.78%) ed Acidovorax wohlfahrti (1.10%). Benintèso, l’indeterminatezza del gruppo microbico riguarda le specie; i generi infatti sono ben noti: Burkholderiales, Rhizobiales, Microviridae, Sphingomonadales, Actinomycetales, Xanthomonadales, Enterobacteriaceae.

Lo studio accerta, dunque, l’esistenza di un nativo concorso di vitalità microbiche, capace di degradare la gomma di pneumatici obsolescenti, senza richiedere alcun pre-trattamento chimico. L’efficienza degradativa sulla matrice di gomma è risultata pari al 4.94%. Grazie prevalenti, sian rese al tsuruhatensis. Superando anche con ciò gli studi condotti da Berekaa e colleghi, su Gordonia sp. cepa Kb2, che si arrestava al 4%, in 40 giorni di processo complessivo.

La degradazione di guanti in lattice, invece, perseguita da Linos e colleghi ha richiesto l’intervento di Pseudomonas aeruginosa AL98, senza pre-trattamento, con efficacia del 26%, in 6 settimane complessive. Certo, la composizione della gomma è più ricca e complessa; gravata com’è da elementi mancanti invece nel lattice.

Per questo, l’esito raggiunto dal consorzio batterico capeggiato da Delftia tsuruhatensis, è da accogliere a braccia aperte e con speranza fattiva nel cuore. In fondo, i due ceppi più abbondanti nel consorzio sono batteri di fiumi e inerenze ambientali acquatiche, già in piena contaminazione. Come noti son già i talenti di Delftia tsuruhatensis nella degradazione di tereftalati; e nel ridurre anilina e bisfenolo.

«Ho lavorato incidendo l’albero della gomma. Lo faccio ancora adesso. Ho vissuto nelle paludi fangose, nella solitudine delle foreste con la mia squadra di uomini oppressi dalla malaria, che tagliavano la corteccia degli alberi da cui usciva sangue bianco simile a quello degli dei».

Il trascendente timore che solleva la paura dell’immanente ad un piano ben più nobile, oggi sia filtro al nostro occhio, per cambiar ragione di consumo, e risolver lesti il gramo accumulo.

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