America-Cina

2022-11-07 16:08:39 By : Mr. William Wen

Il viaggio del cancelliere tedesco Scholz alla corte di Xi Jinping (con un bagaglio molto pesante). Il trentanovesimo viaggio del Papa (con un messaggio molto importante). Ritratti e racconti dagli Stati Uniti che tra pochi giorni tornano a votare. La decisione di Biden e quella di Trump. Ancora missili (e caccia) tra le due Coree. Due storie dall’Ucraina (alzi la mano chi non si commuove e chi non sorride). Indignazione e sorrisi dall’Iran, dove i ragazzi giocano con i turbanti dei mullah. Indignazione e basta dall’Egitto, con l’appello di 13 Nobel per la vita di un uomo coraggioso. E poi le ultime dal Brasile, dal meteo in Europa (lo sapevate che da noi la temperatura si è alzata in questi anni più del doppio rispetto alla media globale?), dall’Africa dove è stata firmata una tregua nella guerra al martoriato Tigray. Si sa, chi si loda si imbroda. Però è stato davvero bello leggere per primi questa newsletter. Speriamo sia bello anche per voi. Buona lettura. La newsletter America-Cina ed è uno dei tre appuntamenti de «Il Punto» del Corriere della Sera. Potete registrarvi qui e scriverci all’indirizzo: americacina@corriere.it.

Joe Biden è pronto a ricandidarsi per le elezioni del 2024. Il presidente aveva già fatto capire che avrebbe annunciato la sua decisione dopo le consultazioni del midterm, in programma martedì 8 novembre . In realtà Biden ha già formato il suo comitato elettorale, affidandolo a Jen O’Malley Dillon, la vice del capo staff della Casa Bianca, Ron Klain. Jen, 47 anni, ha guidato la campagna di Biden nel 2020, dopo aver provato a fare decollare la candidatura dell’ex deputato texano Beto O’ Rourke. Salvo sorprese, la mossa di Biden, 80 anni il 20 novembre prossimo , dovrebbe mettere automaticamente fuori gioco i potenziali pretendenti della vasta area di centro del partito democratico, a cominciare dalla vicepresidente Kamala Harris.

Joe Biden compie 80 anni il 20 novembre

Più aperto, invece, lo scenario alla sinistra del partito . Il senatore Bernie Sanders, 81 anni, starebbe considerando di sfidare di nuovo, e sarebbe la terza volta consecutiva, il candidato dell’establishment progressista. Ma vedremo se nei prossimi mesi si faranno avanti anche forze fresche. Il nome che piacerebbe di più ai media, non sappiamo agli elettori, sarebbe quello di Alexandria Ocasio-Cortez : compirebbe i 35 anni necessari per diventare presidente il 13 ottobre del 2024, poche settimane prima del voto. Sull’altro fronte, invece, si aspetta solo l’annuncio formale di Donald Trump , che si sta preparando da due anni alla rivincita. Potrebbe trovare, però, avversari difficili già nelle primarie, come il super citato Governatore della Florida, Ron DeSantis .

Mancano cinque giorni al voto di midterm e siamo a Pittsburgh, dove proveremo nei prossimi giorni a raccontarvi una delle sfide più discusse di queste elezioni , che potrebbe rivelarsi cruciale per decidere chi controllerà il Senato nel resto del mandato di Joe Biden.

Da una parte il vicegovernatore democratico John Fetterman , che ha avuto un ictus a maggio, dall’altra il dottor Mehmet Oz , per il partito repubblicano. Gran parte dell’attenzione negli ultimi giorni è andata allo stato di salute di Fetterman, che in un dibattito televisivo alla fine del mese scorso ha mostrato tutte le sue difficoltà ad articolare i pensieri in modo chiaro (e da allora ha ridotto drasticamente anche i suoi comizi). In attesa che nel weekend venga in suo soccorso Obama , proviamo a raccontarvi chi è il rivale che ha scalato i sondaggi per trovarsi testa a testa con Fetterman. Mehmet Oz non è solo un medico televisivo . Era uno dei più brillanti cardiochirurghi degli Stati Uniti. Nato nel 1960, l’anno del Ratto nel calendario cinese, come spiegò in un’intervista al New York Times , Oz è uno che corre sempre verso il formaggio . «Hai un labirinto per topi. Se metti del formaggio nel labirinto, ti giuro che lo prenderò — e molto presto. Dovrei correre dietro a quel formaggio? E mi trovo nel labirinto giusto? Tutte queste domande, su cui gente molto più importante di me ha riflettuto, io le metto da parte mentre corro verso il formaggio». È da una vita che acchiappa formaggio, ma non è mai abbastanza. Potrebbe essere colpa di suo padre Mustafa — secondo il podcast Behind the Bastards —: cresciuto nella povertà della Turchia rurale, Mustafa era riuscito a studiare medicina, a ottenere una borsa di studio per gli Stati Uniti nel 1955 e a diventare un chirurgo, dopo aver sposato Suna, che veniva da una più benestante famiglia di farmacisti di Istanbul. Suo figlio Mehmet ha deciso di diventare medico a 7 anni . Una volta con il padre in gelateria Mehmet assistette alla conversazione tra un altro genitore americano e il figlio di 10 anni. «Cosa vuoi fare da grande?», chese quel genitore per passare il tempo mentre aspettava di essere servito. «Non lo so, papà, ho solo dieci anni». II commento di Mustafa a Mehmet fu: «Se io ti chiedessi cosa vuoi fare da grande non dirmi mai che non lo sai. Puoi cambiare idea, ma devi avere una visione». Dopo la scuola privata a Wilmington, in Delaware, Mehmet entra a Harvard, dove gioca anche a football e a polo. Fa un anno di pausa prestando servizio nell’esercito turco per non perdere la doppia cittadinanza. Si laurea in medicina, ma ottiene anche un MBA (non si sa mai). Sposa la figlia di un famoso chirurgo cardiotoracico d Filadelfia: Lisa Lemole (di origini italiane) , che lo introduce alla meditazione e alla medicina alternativa. Trentenne, Oz diventa professore e vice-direttore di cardiochirurgia alla Columbia Medical School, è in grado di effettuare 250 interventi cardiaci l’anno , registra 11 brevetti (uno dei quali per un liquido per la conservazione degli organi). Ma comincia a fare esperimenti in cui (senza spese aggiuntive per il paziente) durante l’intervento cardiaco sono presenti in sala curatrici che provano a dirigere invisibili energie con l’imposizione delle mani sul mignolo del piede del paziente o sulla pianta del piede che definiscono la «fontana di bolle» (negli interventi a cuore aperto mette anche a disposizione auricolari per ascoltare musica sufi trance). La sua ascesa non sarebbe avvenuta senza l’aiuto di Oprah Winfrey , che lo ha ospitato 55 volte nel suo show (celebre la puntata del 2004 in cui Oz parla dell’aspetto ideale della cacca sana, che deve essere a forma di S ). Poi Oprah gli ha dato l’endorsement televisivo e ha co-prodotto il programma tv «The Dr. Oz Show»; è stata lei a ribattezzarlo «il dottore d’America». Il programma prevede 175 puntate di un’ora in un anno: Oz sceglie contenuti popolari come il cancro alla pelle e la perdita di peli pubici e, ovviamente, le diete dimagranti. Dà buoni consigli su come mangiare frutta, vaccinarsi, ma comincia a promuovere prodotti come il caffè verde dimagrante (che potrebbe però avere l’effetto «collaterale» di ridurre la densità ossea, secondo alcuni studi condotti sugli animali) e bibite rilassanti su cui però le autorità sanitarie mettono in guardia . Nel suo show ospita Michelle Obama ma anche presunti medium capaci di parlare con i morti o consulenti che sostengono di poter diagnosticare ogni malattia osservando l’iride del paziente. Nel 2015 Oz viene chiamato davanti ad una sottocommissione del Senato e la comunità scientifica lo condanna . Durante la pandemia di Covid-19, Mehmet Oz appoggerà l’uso dell’idrossiclorochina. Trump lo nominerà membro del suo Consiglio presidenziale per lo sport, la nutrizione e la forma fisica, dal quale è stato espulso da Biden solo lo scorso maggio. La vittoria nelle primarie repubblicane per il Senato in Pennsylvania Oz l’ha ottenuta facendosi dare l’endorsement da Trump; poi quando è iniziata la corsa contro il rivale democratico era utile spostarsi al centro, così ha rimosso l’immagine che lo vedeva al fianco di Trump dalla sua homepage, come pure ogni riferimento all’ex presidente. Quando Oz è entrato nella lista di Time delle 100 personalità più influenti d’America suo padre gli ha chiesto: in che posizione?

Le avventure politiche «ai confini della realtà» di due repubblicane molto diverse tra loro aiutano a capire perché le elezioni americane di midterm, che suscitano in Europa un interesse relativo, possono diventare un altro passaggio, in prospettiva forse il più drammatico, del processo di sfilacciamento del tessuto democratico americano , in atto, ormai da molti anni. Ecco la prima.

Kari Lake, da ineleggibile a inarrestabile. Quando, da ex conduttrice televisiva (23 anni sui teleschermi di Phoenix) di simpatie liberal e a suo tempo impegnata per l’elezione di Obama, Kari Lake decise di candidarsi alla carica di governatore dell’Arizona con i repubblicani, nessuno la prese sul serio : la candidata ufficiale del partito, Karin Taylor Robson, avvocato, di grande esperienza amministrativa, moglie di un miliardario, aveva risorse economiche infinite da spendere nella campagna (la Lake battuta 17 a 1 in termini di pubblicità televisiva) e aveva l’appoggio del governatore uscente, Doug Ducey. Non la prese sul serio nessuno salvo Trump che non la conosceva ma detestava Ducey, reo, ai suoi occhi, di non aver impugnato, nel 2020, i risultati delle presidenziali in Arizona, favorevoli a Biden. Sostenuta da The Donald , Kari Lake vinse a sorpresa le primarie repubblicane con grande giubilo dei democratici che la consideravano, al pari dell’establishment del Grand Old Party, una candidata ineleggibile in un voto aperto, se non altro perché la sua retorica di ultradestra risultava indigesta ai conservatori moderati e agli elettori indipendenti. Il distacco nei sondaggi, sette punti di vantaggio per la candidata democratica, il segretario di Stato Katie Hobbs, sembravano, per la Lake, una condanna anticipata. Ma, mentre la Hobbs ha fatto una campagna pacata, puntando sulla difesa del diritto all’aborto e mettendo in guardia dai rischi che stanno correndo le istituzioni democratiche, Kari ha attaccato a testa bassa, soprattutto sui temi dell’inflazione e dell’aumento della criminalità , usando il linguaggio estremo di Trump, filtrato attraverso la sua nitida retorica e il suo volto telegenico. I sette punti di distacco a settembre sono diventati due; a ottobre i sondaggi hanno dato le due candidate alla pari e ieri il primo sondaggio di novembre, quello di Fox News , dà la Lake in vantaggio di un punto (47 a 46). La ex conduttrice ha ottenuto questo risultato senza alcun corteggiamento degli indipendenti. Anzi, ha interpretato la spietata ricetta trumpiana fino al punto di superare il maestro: è arrivata prima di lui a fare del sarcasmo sull’assalto di un estremista di destra alla casa di Nancy Pelosi , col marito della speaker della Camera finito in ospedale col cranio fracassato a martellate. Criticata per questo anche dai tanti repubblicani che hanno subito condannato l’aggressione, la Lake non solo non ha fatto marcia indietro né si è scusata, ma, in un’intervista alla Fox News , ha presentato sé stessa come vittima di sopraffazioni. Ha lamentato un trattamento da cancel culture : messa a tacere dai media solo perché aveva esercitato il suo diritto al free speech , a parlare liberamente. Steve Bannon, entusiasta di lei, sostiene che Kari Lake diventerà il modello delle future campagne elettorali repubblicane: saranno sempre più radicali. E c’è chi già la vede a fianco di Trump nel ticket elettorale delle presidenziali 2024 . Sostenuta da The Donald , Kari Lake vinse a sorpresa le primarie repubblicane con grande giubilo dei democratici che la consideravano, al pari dell’establishment del Grand Old Party, una candidata ineleggibile in un voto aperto, se non altro perché la sua retorica di ultradestra risultava indigesta ai conservatori moderati e agli elettori indipendenti. Il distacco nei sondaggi, sette punti di vantaggio per la candidata democratica, il segretario di Stato Katie Hobbs, sembravano, per la Lake, una condanna anticipata. Ma, mentre la Hobbs ha fatto una campagna pacata, puntando sulla difesa del diritto all’aborto e mettendo in guardia dai rischi che stanno correndo le istituzioni democratiche, Kari ha attaccato a testa bassa, soprattutto sui temi dell’inflazione e dell’aumento della criminalità , usando il linguaggio estremo di Trump, filtrato attraverso la sua nitida retorica e il suo volto telegenico. I sette punti di distacco a settembre sono diventati due; a ottobre i sondaggi hanno dato le due candidate alla pari e ieri il primo sondaggio di novembre, quello di Fox News , dà la Lake in vantaggio di un punto (47 a 46). La ex conduttrice ha ottenuto questo risultato senza alcun corteggiamento degli indipendenti. Anzi, ha interpretato la spietata ricetta trumpiana fino al punto di superare il maestro: è arrivata prima di lui a fare del sarcasmo sull’assalto di un estremista di destra alla casa di Nancy Pelosi , col marito della speaker della Camera finito in ospedale col cranio fracassato a martellate. Criticata per questo anche dai tanti repubblicani che hanno subito condannato l’aggressione, la Lake non solo non ha fatto marcia indietro né si è scusata, ma, in un’intervista alla Fox News , ha presentato sé stessa come vittima di sopraffazioni. Ha lamentato un trattamento da cancel culture : messa a tacere dai media solo perché aveva esercitato il suo diritto al free speech , a parlare liberamente. Steve Bannon, entusiasta di lei, sostiene che Kari Lake diventerà il modello delle future campagne elettorali repubblicane: saranno sempre più radicali. E c’è chi già la vede a fianco di Trump nel ticket elettorale delle presidenziali 2024 .

(Massimo Gaggi ) Liz Cheney, la conservatrice integralista che corre in soccorso dei democratici. «Non avrei mai creduto di poter arrivare a votare democratico, ma vi assicuro che, se fossi residente in Arizona, lo farei». Dall’Ohio all’Arizona, passando per il Michigan, Liz Cheney, deputata rigidamente conservatrice ormai a fine mandato e figlia di Dick, il vice di George Bush che per otto anni fu l’«uomo nero» della Casa Bianca, sta sostenendo candidati del partito di Biden contro quelli della sua parte politica.

Ha pagato caro l’aver sempre indicato Trump come il veleno che stava corrompendo il movimento conservatore. Ha votato per il suo impeachment ed è stata attivissima nella Commissione della Camera che indaga sull’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021. Per questo, prima è stata estromessa dalla guida dei repubblicani alla Camera, poi è stata censurata dal partito nel suo Stato, il Wyoming. Infine, pur essendo un deputato in carica, erede di una celebre dinastia politica, ha perso le primarie contro un candidato sconosciuto ma appoggiato da Trump. Ora Liz dice di non voler affatto lasciare il partito, ma aggiunge di essere decisa a fare di tutto, anche a costo di appoggiare qualche candidato democratico, per ostacolare l’occupazione trumpiana del Grand Old Party che, secondo lei, ucciderà non solo il vecchio movimento repubblicano coi suoi valori, ma anche la stessa democrazia americana: «Se vogliamo fare in modo che la Repubblica sopravviva, dobbiamo andare oltre una politica fatta nei modi consueti». Così nei giorni scorsi Cheney è andata in Ohio a sostenere Tim Ryan, il democratico che contende il seggio senatoriale dello Stato a JD Vance, il finanziere e scrittore (noto anche in Italia per il suo «Elegia Americana») imposto da Trump contro il volere del partito repubblicano. Poi è passata in Michigan ad aiutare una candidata progressista in difficoltà, Elissa Slotkin. E ha cominciato a bombardare di messaggi l’elettorato dell’Arizona, convinta che l’elezione a governatore e segretario di Stato di due ultrà trumpiani sarebbe «una grave minaccia della democrazia» vista la loro dichiarata sfiducia nel sistema elettorale sul quale questa democrazia è basata .

È un viaggio pieno di incognite e fonte di forti polemiche , all’esterno e all’interno della Germania, quello del cancelliere tedesco Olaf Scholz a Pechino , dove domani incontrerà Xi Jinping .

Scholz è il primo leader del G7 a recarsi in Cina dallo scoppio della pandemia e il primo a vedere il presidente cinese dalla sua recente riconferma al vertice da parte del Congresso del Partito comunista, che ne ha fatto il dominus incontrastato della Superpotenza asiatica. Scholz sarà accompagnato da una nutrita delegazione di imprenditori tedeschi , fra cui i capi di Siemens, Basf, Volkswagen e Bmw, una scelta che secondo molti osservatori tradisce la volontà del cancelliere di mantenere intensi rapporti economici con la Cina, che negli ultimi sette anni è stata il primo partner commerciale della Germania . Ma questo appare in aperto contrasto con il programma e le intenzioni della coalizione di governo, che all’atto del suo insediamento aveva annunciato di voler ridurre la sua dipendenza economica dalla Cin a e rafforzare invece i legami con i Paesi democratici dell’Asia. La netta divisione interna al governo è diventata pubblica la scorsa settimana, quando gli alleati Verdi e liberali hanno duramente criticato il via libera dato da Scholz all’acquisto da parte del gruppo cinese Cosco di una quota del 25% di uno dei terminali del porto di Amburgo . «Rischiamo di ripetere gli stessi errori commessi con la Russia », ha detto il ministro dell’Economia, il verde Robert Habeck. Martedì poi, la ministra degli Esteri, la verde Annalena Baerbock , ha espresso grosse riserve sull’opportunità del viaggio di Scholz a Pechino, che appare già intenzionata a sfruttare la visita come prova delle divisioni interne all’Occidente: «Se l’Europa taglia i suoi legami con la Cina, potrà essere veramente più indipendente e sicura?», si è chiesto in un editoriale uno dei media statali. Dietro le scene, una battaglia è in corso dentro il governo tedesco, sui principi fondamentali che devono ispirare la politica verso la Cina e che faranno parte di un documento strategico ufficiale, la cui pubblicazione è prevista in gennaio. Così forti sono state le riserve e le voci critiche alla vigilia del viaggio cinese, che Olaf Scholz ha dovuto lanciare una difesa in grande stile delle sue scelte. Oltre a mandare il suo consigliere diplomatico Jens Plötner a Washington , per rassicurare l’Amministrazione americana sulla determinazione tedesca a non concedere nulla alla Cina, Scholz è intervenuto con un editoriale pubblicato contemporaneamente sul sito Politico e sulla Frankfurter Allegemeine Zeitung . Secondo il cancelliere, la Germania deve cambiare il suo atteggiamento verso la Cina, nel momento in cui torna verso l’ortodossia marxista-leninista, centralizzata in economia e ancora più autoritaria sul piano politico. Ma allo stesso tempo, Scholz ha messo in guardia dal rischio di isolare Pechino , invocato da molti in Occidente, perché «con i suoi 1,4 miliardi di abitanti e il suo potere economico continuerà a svolgere un ruolo chiave sulla scena mondiale anche per il futuro». Secondo il cancelliere l’obiettivo della Germania e di altri Paesi non può essere quello di spezzare i legami produttivi con la Cina. Tuttavia, Pechino non deve perseguire l’obiettivo «di una dominazione egemonica cinese o addirittura di un ordine mondiale sino-centrico». Nel suo editoriale, Scholz ha cercato anche di contrastare la critica, secondo cui il suo viaggio scredita la costruzione di un approccio comune europeo verso la Cina . Secondo fonti diplomatiche, il presidente francese Emmanuel Macron aveva proposto al cancelliere di recarsi insieme a Pechino, in segno di unità europea, ma Scholz ha detto di no. «La politica tedesca verso la Cina – scrive ora il capo del governo federale – può avere successo soltanto quando è parte essenziale di quella europea». Infine, Scholz ha chiesto nuovamente alla Cina di «cessare il suo appoggio alla Russia nella guerra in Ucraina », ricordando che in quanto membro permanente del Consigli di Sicurezza dell’Onu, Pechino porta una responsabilità speciale per assicurare il rispetto della Carta delle Nazioni Unite.

Ancora missili dalla Nord Corea . Tre, compreso uno del tipo ICBM (Intercontinental ballistic missile) che in teoria potrebbe colpire il territorio degli Stati Uniti . L’ordigno a lunghissimo raggio era stato programmato con una traiettoria molto verticale, che ne avrebbe accorciato il tempo di volo e la lunghezza della corsa ed è stato diretto verso il Mar del Giappone.

Il lancio è stato rilevato alle 7.40 del mattino ora locale, la notte in Italia, da una postazione vicina alla capitale nordcoreana Pyongyang. La Difesa giapponese ha dato l’allarme in tre prefetture, invitando la popolazione a correre al riparo. Ma poi ha valutato che il missile non ha volato sopra lo spazio aereo dell’arcipelago, finendo nell’oceano prima. L’esercito sudcoreano ritiene che lo ICBM abbia avuto un problema di funzionamento durante il volo, fallendo la missione. Il 4 ottobre un missile balistico a medio raggio era sfrecciato sopra il Giappone. Nel giro di ventiquattro ore la Nord Corea ha sperimentato 26 missili a corto, medio e lungo raggio: più del totale dell’intero 2017 , quando l’aggressività di Kim aveva spinto il presidente Donald Trump a minacciare «fire and fury» per «obliterare il regime e l’Uomo razzo». Nel 2017 i nordcoreani avevano condotto a settembre il loro sesto test nucleare. Poi nel 2018 era cominciata una fase di dialogo tra il Maresciallo, i sudcoreani e gli americani. Dopo tre vertici Kim-Trump il negoziato era naufragato ad Hanoi, nel febbraio 2019 e Pyongyang ha ripreso la sua corsa allo sviluppo di nuovi ordigni da armare con testate nucleari. L’intelligence satellitare Usa ha rilevato che tutto è pronto nel poligono sotterraneo di Punggye-ri per il settimo testo nucleare sotterraneo Washington ora sottolinea «l’impegno ferreo» nella difesa degli alleati di Seul e Tokyo. Fino a domani in Sud Corea proseguiranno le grandi manovre aeree denominate «Vigilant Storm» , che impegnano circa 350 apparecchi americani e sudcoreani in simulazioni di «eliminazione dei comandi nemici in caso di emergenza». Sono previste in totale circa 1.600 sortite dei cacciabombardieri: «Il numero più alto nella storia delle esercitazioni congiunte in Sud Corea», ha annunciato la US Air Force. Perché Kim ha ordinato 26 lanci nell’arco di 24 ore? «Cerca di tenere il passo con l’esibizione di forza aerea degli avversari, vuole dimostrare di essere in grado di combattere una guerra nucleare. La sequenza indica l’intensità con la quale la Nord Corea utilizzerebbe i suoi missili nucleari in caso di guerra», dice a NK News Ankit Panda, esperto militare del Carnegie Endowment for International Peace a Washington. Lo studioso avverte che «senza aperture diplomatiche da parte di Sud Corea e Stati Uniti, c’è da prevedere che questa spirale culmini in uno scontro a fuoco reale tra le parti ». Washington sostiene che la porta per il dialogo è sempre aperta, ma Kim non risponde. Il Maresciallo ha giurato di non rinunciare mai all’arsenale nucleare costruito a dispetto delle sanzioni internazionali: «Non cederemo mai, a costo di altri cent’anni di embargo», ha detto poche settimane fa. La trattativa, da parte americana è condizionata all’obiettivo della completa denuclearizzazione della Nord Corea. Ormai, Kim guida una potenza nucleare di fatto , sostengono gli analisti. L’unica via per tentare un approccio sarebbe quella di «negoziati sul controllo e la riduzione dell’arsenale nordista in cambio di un allentamento o cancellazione delle sanzioni Onu» spiega Andrei Lankov, direttore di NK News . Il problema, avverte lo studioso russo che ha frequentato anche l’Università Kim Il Sung di Pyongyang, è che il fallimento del tentativo dell’Amministrazione Trump di uno scambio tra sanzioni internazionali e congelamento del programma di sviluppo nucleare nordista ha ridotto lo spazio negoziale. «Negli Stati Uniti ogni accordo con Pyongyang troverebbe forti resistenze, perché porterebbe al riconoscimento del nemico come potenza nucleare». Se dei colloqui del genere ripartissero «l’opposizione e la stampa americana accuserebbero la Casa Bianca di debolezza e disfattismo, di resa a una piccola dittatura asiatica» (vicina alla Cina e alla Russia, ndr). Lankov conclude con un suggerimento ardito: «Servirebbe un po’ di disonestà per far ripartire i negoziati» . Vale a dire che la Casa Bianca dovrebbe «vendere» al Congresso e alla stampa il tentativo di contenere l’arsenale nucleare di Kim come primo passo di un processo per arrivare alla completa denuclearizzazione.

(Guido Olimpio ) Lo sappiamo, le vie delle armi sono infinite . A volte semplici ma anche tortuose. Lo rivela questo caso, che muove nel 2016. All’epoca i vertici dello Stato Islamico sono alla ricerca di materiale bellico e mobilitano i simpatizzanti. Uno di loro, Osama Abdalla Bakr, avvia contatti con un paese «speciale», la Nord Corea .

Una missione pagata dal Califfato che gli invia 30 mila dollari per facilitare il compito. L’emissario ha alcuni colloqui con diplomatici del regime di Kim, vuole acquistare fucili, mitragliatrici e sistemi anti-drone . La trattativa, però, non va in porto, il movimento non riceverà – in apparenza – neppure uno spillo. Bakr resterà in rapporti con la fazione jihadista almeno fino al 2018, sempre basato in America Latina dove si adopera per trovare sistemazioni a immigrati. È passato molto tempo ma gli Stati Uniti non si sono dimenticati di lui: il suo nome è stato inserito ora nella lista nera del terrorismo .

Chiamiamola «Sindrome Remarque in Ucraina» , anche se in effetti sembra un fenomeno che da tempo immemore si ripete tra i soldati che ovunque vanno alla guerra. E cioè la crescente separatezza tra coloro che vanno a combattere al fronte, a diretto contatto con il nemico per mesi e mesi, e invece le famiglie, o comunque i loro nuclei sociali che restano a casa.

Il soldato Illias, prima di essere ferito

Col trascorrere del tempo si creano legami profondi ed esclusivi tra i soldati che ogni giorno rischiano la morte, necessitano gli uni degli altri per sopravvivere e continuare a combattere. La routine della guerra si sostituisce alle memorie e agli affetti . Per alcuni in modo temporaneo e superficiale, per altri molto più profondo e duraturo. Nasce così il fenomeno dei reduci: persone che non riescono più adattarsi alla vita di prima e che cercano in ogni modo di riunirsi con i compagni di trincea, solo tra loro si capiscono, trovano conforto ai loro traumi fisici e mentali. La descriveva molto bene Erich Maria Remarque nel super-classico della Prima Guerra Mondiale, «Niente di Nuovo dal Fronte Occidentale». Le pagine sull’angosciato sentimento di sradicamento e solitudine che affligge il fante tedesco Paul Baumer quando torna a casa in licenza, il suo bisogno di tornare presto tra i camerati al fronte, l’incapacità di raccontare i traumi che ha subito a coloro che nella sua città natale sarebbero ben contenti di ascoltarlo, sono probabilmente tra le più toccanti del volume. Qualche cosa di molto simile abbiamo riscontrato nella vicenda del soldato Illias, di cui appare oggi la storia e il video sul Corriere. Un giovane uomo di 29 anni che ammette candidamente dalla sua carrozzella di ferito grave all’ospedale di Kiev che non riesce più a staccarsi dai soldati della sua unità . Racconta a lungo, con le lacrime agli occhi, dei cinque che ha visto morire accanto a lui il 7 ottobre, quando venne investito dalle schegge a Bakhmut. Di loro parla con doloroso affetto. Di uno dice che per lui era come un padre. Di un altro, più giovane, racconta gli scherzi che si facevano ai turni di guardia, come fossero fratelli in una grande famiglia. «Sono ferito, so che per molti mesi non potrò tornare al combattimento attivo e questo mi spiace immensamente. Non potrò vedere quelli che sono ancora là e ogni giorno telefonano per dire che mi aspettano». La sua incapacità a riadattarsi alla vita borghese lo ha portato a rompere con la fidanzata . «Non ci capiamo più. Non le riesco a dire cosa provo, siamo lontani». Illias ha un padre che sta a Kharkiv, ma non è mai venuto a trovarlo in ospedale. «Sono io che gli ho chiesto di non venire», spiega. Tiene invece alle nostre conversazioni, gli piacciono i video che abbiamo fatto assieme. «Vorrei che tu li mostrassi in Europa, vorrei che anche in Italia capissero che noi stiamo difendendo il mondo libero», ripete. E in ospedale sta cercando storie di altri feriti che potrebbero venire diffuse.

Il murale dev’essere appena fatto , la vernice è ancora luccicante. Un allegro Boris Johnson saluta con una bandiera ucraina sullo sfondo e mescolando ucraino e inglese dice in un fumetto: «Dobryi den everybody» , buon pomeriggio a tutti. La firma è «la regione di Kryivyi Rih non dimenticherà mai il tuo supporto». Quale cartolina migliore per la newsletter del Corriere ? Colorata, internazionale, d’attualità visto che, evidentemente, è stata dipinta dopo le dimissioni del premier britannico. Eppure, eppure la realtà rovina sempre i quadretti semplici e confortanti.

Ci vede fotografare il murale una signora anziana . È un po’ curva e ha due sacchetti della spesa che sembrano pesanti, ma lo sguardo vivace e la voce ferma. Considera la coppia giornalista-interprete come connazionali e si ferma alle loro spalle. «Vi piace, eh? Vuol dire che siete pronti . Sapete bene cos’ha detto Johnson, vero? Ha detto che l’Europa è pronta a combattere la Russia sino all’ultimo ucraino. Bravi: sarete voi gli ultimi due?». E senza aspettare risposta, riabbassa la testa e riprende a camminare. C’è un’Ucraina verticale , tutta d’un pezzo, inflessibile nella resistenza all’invasione. E’ l’Ucraina del presidente Zelensky, del sistema politico e di gran parte del Paese (probabilmente). Poi c’è un’Ucraina orizzontale che si sdraierebbe volentieri davanti alle richieste russe per convinzione o per convenienza. E infine c’è la signora con le borse della spesa. La sua è un’Ucraina obliqua , lontana dall’eroismo, della resistenza, della patria da difendere o costruire. È’ un’Ucraina che soffre i black out, i figli in guerra, il freddo e l’emigrazione. Un’Ucraina che vorrebbe la pace, ma non sa come ottenerla . Probabilmente come la maggioranza del mondo.

(Irene Soave ) Un «accordo», o almeno un intreccio di interessi d’affari tra Donald Trump e Vladimir Putin : sul piatto, da un lato, il provvidenziale intervento degli hacker russi a favore del primo nella campagna presidenziale 2016; dall’altro, nientemeno, l’invasione dell’Ucraina. Un’inchiesta del New York Times sembra unire i puntini, tra Manhattan e Mosca.

È il 28 luglio 2016. Hillary Clinton accetta la nomination dei democratici: correrà per la Casa Bianca. Paul Manafort, lobbista e consulente di Donald Trump per la campagna elettorale, sta per incontrare il russo che dirige la sua sede di Kiev della sua società di consulenza. Konstantin Kilimnik, così si chiama il russo, gli parlerà di un piano: il «Piano Mariupol» . Che contiene già tutto: l’invasione dell’Ucraina; la creazione di una repubblica autonoma nell’Est del Paese (qui l’articolo completo).

A quattro giorni dalla vittoria di Lula alle elezioni presidenziali, i «bolsonaristi» continuano a protestare in strada e nelle piazze, chiedondo alle forze armate di scendere in campo in base all’articolo 142 della Costituzione, che prevede l’intervento a «difesa della patria» e «la garanzia dei poteri costituzionali».

Bolsonaro ha pubblicato mercoledì un video su Twitter in cui chiede ai suoi sostenitori di sgombrare le autostrade dai blocchi stradali «illegali» che nei giorni scorsi hanno paralizzato il Brasile, però sostiene che le altre manifestazioni, nelle piazze e nei luoghi pubblici, fanno parte «del gioco democratico», senza tener conto di quello che alcuni grandi quotidiani brasiliani definiscono «il contenuto golpista delle proteste» (l’articolo completo lo trovate nell’ultima edizione di Mondo Capovolto , la newsletter del Corriere che approfondisce le notizie dal Sud del pianeta).

Caldo, sempre più caldo. Chi osa contestare, ormai, quello che gli scienziati ci dicono da tempo? Il clima sta cambiando il meteo, ossia «il tempo che fa». L’afa dell’estate e l’«ottobrata» appena concluse ne sono una conferma evidente. L’Europa è «nell’occhio del ciclone» , come ribadisce l’ultimo rapporto sullo Stato del Clima in Europa, realizzato dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO) e dal Servizio per il Cambiamento Climatico di Copernicus: negli ultimi 30 anni le temperature nel nostro continente sono aumentate più del doppio rispetto alla media globale , il valore più alto di tutti i continenti del mondo.

Se la tendenza al surriscaldamento dovesse proseguire , informa WMO, il caldo eccezionale, gli incendi, le alluvioni e altre conseguenze del cambiamento climatico eserciteranno un impatto importante sulla società, sull’economia e sugli ecosistemi. Il rapporto rivela che le temperature in Europa sono aumentate, nel periodo compreso tra il 1991 e il 2021, a una media di circa +0.5 °C per decennio . Conseguentemente, i ghiacciai alpini hanno perso 30 metri di spessore dal 1997 al 2021 . La calotta glaciale della Groenlandia si sta sciogliendo, contribuendo ad accelerare l’innalzamento del livello del mare. Nell’estate del 2021, la Groenlandia ha registrato uno scioglimento dei ghiacci e, per la prima volta in assoluto, un episodio di precipitazioni sotto forma di pioggia nel suo punto più alto, presso la stazione Summit. Nel 2021 gli eventi meteorologici e climatici ad alto impatto o estremi hanno causato centinaia di vittime, colpendo direttamente più di mezzo milione di persone e provocando danni economici superiori a 50 miliardi di dollari . Circa l’84% di questi eventi si riferisce a inondazioni o tempeste. Fortunatamente, c’è anche qualche buona notizia. Le emissioni di gas serra sono diminuite in Unione Europea (UE) del 31% tra il 1990 e il 2020, mentre è stato fissato un obiettivo di riduzione netta del 55% per il 2030. Inoltre, l’Europa è tra le regioni più avanzate nella cooperazione transfrontaliera in materia di adattamento ai cambiamenti climatici, in particolar modo per quel che concerne i bacini fluviali transnazionali, ed è tra i leader mondiali nell’offerta di sistemi d’allarme rapidi ed efficaci a protezione di circa il 75% dei suoi abitanti. I piani d’azione messi in atto contro il caldo estremo hanno salvato molte vite. Il rapporto si focalizza sul 2021 ma , commenta Petteri Taalas, segretario generale dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale «anche nel 2022 vaste zone europee sono state colpite da ondate di calore e siccità di lunga durata, che hanno alimentato incendi». «La società europea è particolarmente soggetta alla variabilità e ai cambiamenti climatici e proprio per questo, l’Europa è in prima linea nello sforzo internazionale di mitigare i cambiamenti climatici e sviluppare soluzioni innovative finalizzate all’adattamento al nuovo clima con cui i cittadini europei dovranno imparare a convivere», ha aggiunto il dottor Carlo Buontempo, direttore del Servizio per il Cambiamento Climatico di Copernicus .

(Irene Soave ) Come l’urlo di Pierino , restano inascoltati nonostante il volume sia sempre più alto: sono gli allarmi sul clima , che arrivano ormai a cadenza sempre più fitta da agenzie sempre più autorevoli, e si guadagnano al massimo strapuntini nelle home page dei giornali, rade menzioni social, qualche nota a piè di pagina in qualche programma elettorale. Appena una settimana fa, i colossi del petrolio Shell e Total comunicavano di avere appena raddoppiato i loro profitti dall’ultima trimestrale (grazie, guerra!). Solo negli ultimi 4 giorni (senza contare ciò che vi ha raccontato Sara qui sopra):

Il collasso climatico è «irreversibile» , e non ci sono «strade credibili» verso gli obiettivi fissati in termini di clima: così recita uno studio dell’Unfccc, l’agenzia Onu per il clima. Gli obiettivi consistono soprattutto nell’aumento della temperatura, sui livelli preindustriali, di 1,5 gradi al massimo entro il 2030 . Ma la «rapida rivoluzione sociale» richiesta per raggiungerli, scrive l’agenzia, non è in corso. L’innalzamento delle temperature che ci si attende è un catastrofico +2,5°C. L’agenzia per il meteo dell’Onu (Wmo) ha registrato, per il 2021, il record mondiale assoluto delle emissioni di metano. L’Unesco ha predetto ieri che nel 2050 non ci sarà più il ghiaccio sul Kilimangiaro e comunque sarà sparito un terzo dei ghiacciai del pianeta.

«Dopo cinque giorni, domenica 6 novembre, berrò il mio ultimo bicchiere d’acqua . Quello che seguirà è sconosciuto». È con queste parole che, in un messaggio dal carcere condiviso sui social dai suoi parenti, l’attivista egiziano Alaa Abd El Fattah — arrestato nel settembre 2019, è condannato nel dicembre 2021 a cinque anni di carcere da un tribunale d’emergenza per «diffusione di notizie false» — ha iniziato lo sciopero totale della fame, dopo oltre 200 giorni di digiuno. La scelta del 6 novembre non è casuale.

Quel giorno inizierà a Sharm El Sheik la Cop 27 , la conferenza sul clima. Ed è per tenere alta l’attenzione sul caso di Alaa e su quelli di altri 60 mila attivisti arrestati dal regime di Al Sisi dal 2013 ad oggi che 13 premi Nobel per la letteratura , tra cui Svetlana Alexievich, JM Coetzee, Annie Ernaux, Mario Vargas Llosa, Herta Müller, Orhan Pamuk, Wole Soyinka and Olga Tokarczuk , hanno inviato una lettera al segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres e al presidente degli Stati Uniti Joe Biden in vista dell’inizio del summit sul clima. «Scriviamo per esortarvi a non dimenticare le migliaia di prigionieri politici detenuti nelle carceri egiziane e, con maggiore urgenza, lo scrittore e filosofo egiziano-britannico Alaa Abd el-Fattah, da sei mesi in sciopero della fame e ora a rischio di morte», si legge nell’incipit della missiva inviata su iniziativa delle tre case editrici che pubblicano el-Fattah, rispettivamente in Gran Bretagna, Stati Uniti e Italia : Fitzcarraldo Editions, Seven Stories Press e Hopefulmonster Editore. Intanto, a pochi giorni dalla cerimonia di apertura della Conferenza a Sharm, i servizi di sicurezza egiziani hanno arrestato l’attivista indiano per il clima Ajit Rajagopal , che aveva iniziato una camminata di otto giorni che dal Cairo lo avrebbe portato alla località turistica nel Sinai con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica locale e internazionale sulla crisi climatica. Il caso di Rajagopal non è l’unico. Negli ultimi giorni, secondo quanto denunciano ong e associazioni a difesa dei diritti umani, i servizi di sicurezza egiziani hanno intensificato i controlli affinché non ci siano manifestazioni di dissenso o problemi di ordine pubblico. Sono stati arrestati 67 attivisti .

La quantità di vittime della repressione nell’Iran che protesta — per la ong Hrana sono 277 i morti, di cui almeno 40 minorenni, e più di 13 mila gli arresti — impedisce di abbandonarsi alla retorica della risata che seppellisce i regimi. Ma ne strappano una i video, che si moltiplicano su Twitter e Instagram, del più allegro tra i gesti di protesta dei ragazzi iraniani .

Inarrivabile: la Guida Suprema Ali Khamenei

Quando vedono un mullah che cammina per strada , col suo turbante , gli corrono dietro come dopo scuola e glielo tolgono con la più classica delle «scoppole»; nei video in genere il prelato impreca e tenta di correre loro dietro, ma l’abito tradizionale glielo impedisce. Un mullah di Babol, nel Nord del Paese, ha preso a girare con il turbante ben allacciato sotto il mento.

CITTÀ DEL VATICANO Papa Francesco è partito questa mattina per il Bahrein , primo Papa nella storia a raggiungere il «Regno dei due mari», un arcipelago di 33 isole al largo della costa orientale dell’Arabia Saudita, nello Stretto di Hormuz, dove passa il 20 per cento del petrolio mondiale . Stato piccolo ma importante, come il trentanovesimo viaggio internazionale del pontefice : quattro giorni «che seguono la linea tracciata ad Abu Dhabi nel 2019, con la firma del «Documento sulla fratellanza umana», e proseguita con i viaggi successivi in Marocco, Iraq e Kazakistan» spiega al Corriere il vescovo cappuccino Paul Hinder, amministratore apostolico dell’Arabia settentrionale, da vent’anni nella regione.

Il dialogo con l’Islam, e più in generale la pace: «La prospettiva è trovare un modo non solo di coesistenza ma anche di collaborazione e sinergia con il mondo musulmano riguardo alle grandi questioni dell’umanità: pace, giustizia, salvaguardia del creato, dignità della persona umana», dice monsignor Hinder. «E poi c’è il motto del viaggio , “Pace in terra agli uomini di buona volontà”, scelto mentre del mondo si avverte l’urgenza particolare del conflitto in Ucraina e sapendo come anche questa regione del mondo, nel passato e purtroppo ancora oggi, sia marcata da conflitti, dallo Yemen ai problemi non risolti in Iraq, alla tensione tra Iran e Arabia Saudita» (qui l’articolo completo).

Una bella sorpresa dal Sudafrica: è stata firmata una tregua tra il governo dell’Etiopia e i rappresentanti delle autorità del Tigray , la regione del Nord al confine con l’Eritrea che da due anni è devastata dalla guerra (centinaia di migliaia di morti, milioni di sfollati, popolazione alla fame). Il precedente cessate il fuoco firmato a marzo era stato rotto ad agosto. Questo accordo sarà più duraturo?

Il mediatore Obasanjo al centro nella foto

Presto per dirlo. Ma vero è che pochi erano ottimisti alla partenza dei colloqui promossi dall’Unione Africana. Le truppe governative appoggiate dagli eritrei stavano recuperando terreno, i «ribelli» del Tplf (Fronte Popolare di Liberazione del Tigray) sembravano in difficoltà. L’ex presidente nigeriano Olusegun Obasanjo , mediatore tra le parti con il suo immancabile cappellino colorato, ha detto che «questo è soltanto l’inizio di un processo di pace». Tra le condizioni per il cessate il fuoco sembra esserci l’impegno del Tplf a far rientrare i suoi soldati nell’esercito regolare etiope. Dall’altra parte, il governo di Addis Abeba si dice pronto a togliere il blocco armato che ha chiuso il Tigray in un mortale isolamento, senza derrate alimentari, senza medicine. Pace senza giustizia? Invisibili, sullo sfondo dell’accordo raggiunto in Sudafrica, ci sono i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità commessi in Tigray. Ogni conflitto, si sa, trascina con sé un carico di orrori da soppesare e mettere sulla bilancia della ricostruzione. Intanto, incrociamo le dita. E vediamo se le parti rispetteranno i patti.

Grazie. A domani. Cuntrastamu. Michele Farina