Prima Ora

2022-11-07 16:11:06 By : Mr. Hason Zheng

Buongiorno. Oggi alle 13 ci sarà il secondo Consiglio dei ministri del governo Meloni, il primo veramente operativo. In agenda ci sono le misure contro il caro energia , che ieri la premier è tornata a indicare come prioritarie in un messaggio sui social, i provvedimenti contro la pandemia (l’esecutivo, spiega Monica Guerzoni, sembra orientato a mantenere l’obbligo di portare la mascherina in ospedali e residenze sanitarie per anziani, ma non a prorogare quello di vaccinarsi per i sanitari) e le scelte in materia di giustizia . Scrive Guerzoni: Il dossier più pesante sul tavolo del Cdm riguarda la giustizia, con due questioni che da giorni fanno discutere: ergastolo ostativo e rinvio della riforma Cartabia. Del primo tema Meloni ha parlato nel discorso per la fiducia, mostrando da subito l’intenzione di blindare il regime che esclude gli sconti di pena per i condannati per reati gravi, come mafia e terrorismo, che non accettino di collaborare con la giustizia. Il neo-ministro Carlo Nordio si è sempre detto contrario, ma per Meloni l’ergastolo ostativo è «uno strumento essenziale» per evitare scarcerazioni facili di detenuti mafiosi. E poiché l’8 novembre è fissata la nuova udienza della Consulta, che ne aveva stabilito l’incostituzionalità, il governo deve correre: il testo che sarà esaminato oggi ricalca quello già approvato alla Camera nella precedente legislatura. Il secondo dossier riguarda alcuni aspetti della riforma Cartabia, la cui entrata in vigore, prevista per domani, l’esecutivo vuole far slittare al 30 dicembre. Una parte della magistratura è in allarme e il Pd protesta perché teme che vengano «buttati a mare» sia il lavoro del governo Draghi che i fondi del Pnrr. Ma su questo punto Palazzo Chigi tranquillizza: «Le scadenze del Pnrr saranno rispettate». La scelta di viceministri e sottosegretari Prima ancora, però, Giorgia Meloni dovrà superare gli ultimi scogli politici per la formazione del governo: la nomina di viceministri e sottosegretari. A complicare la distribuzione dei posti tra gli alleati c’è l’intenzione della premier di alzare la quota di donne nei ministeri, finora al 25%, la più bassa dal 2008 . Uno dei i nomi su cui si discute è quello di Giuseppe Mangialavori , fedelissimo di Licia Ronzulli , che è citato (ma non indagato) in due inchieste di ‘ndrangheta come vicino a una cosca. Forza Italia lo vorrebbe sottosegretario, Fratelli d’Italia si oppone. Non è l’unico nodo, spiega Virginia Piccolillo: La guerra però è soprattutto sulle deleghe di alcuni ministeri. Come quello della Giustizia. Berlusconi vuole assicurarsi che a seguire la battaglia garantista e contro la legge Severino, anche in vista dell’esito del processo Ruby ter, ci sia come vice di Carlo Nordio Francesco Paolo Sisto, con ampia delega. Fratelli d’Italia invece vuole in quel ruolo Andrea Delmastro Delle Vedove. La Lega vorrebbe aggiungere Andrea Ostellari o Jacopo Morrone come sottosegretari. Al ministero dell’Interno, Matteo Salvini vuole come viceministro Nicola Molteni, FI reclama lo stesso incarico per Paolo Barelli e FdI per Wanda Ferro, che, in alternativa, è in corsa per la presidenza della Commissione Antimafia .

Le ambiguità di Berlusconi sulla Russia A dare qualche fastidio alla premier, ieri, sono arrivate anche le anticipazioni del prossimo libro di Bruno Vespa con nuove dichiarazioni del leader di Forza Italia Silvio Berlusconi su Russia e Ucraina. «Se a un certo punto l’Ucraina capisse di non poter più contare sulle armi e sugli aiuti e se, invece, l’Occidente promettesse di fornirle centinaia di miliardi di dollari per la ricostruzione delle sue città devastate dalla guerra», si legge in La grande tempesta (Mondadori Rai Libri), «Zelensky, forse, potrebbe accettare di sedersi al tavolo per una trattativa». «È un legittimo auspicio di Berlusconi, io sono comprensivo con lui, ma il centrodestra si è impegnato su un programma ben preciso che non prevede di cambiare il nostro quadro di alleanze» ha commentato ieri sera il ministro della Difesa, Guido Crosetto, al programma Non è l’arena , su La7. La sicurezza: il rave party di Modena e il caso San Siro Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha ordinato di sgomberare il rave in corso da sabato notte in un capannone agricolo in disuso di Modena. L’intervento delle forze dell’ordine potrebbe arrivare già nelle prime ore di stamani. La megafesta non autorizzata con 3.500 persone è finita al centro del dibattito sulla sicurezza, dopo che il ministro delle Infrastrutture e leader della Lega Matteo Salvini ne ha fatto un esempio del nuovo corso del governo ( «Basta rave party illegali, delinquenti che spadroneggiano, istituzioni umiliate: ora si cambia!» ha twittato).

C’è un altro caso sicurezza però che fa discutere e su cui l’esecutivo fa più fatica a prendere posizione: quello dei gruppi ultrà dell’Inter che hanno svuotato la curva Nord, sabato, dopo l’omicidio del pluripregiudicato Vittorio Boiocchi , il loro capo con legami nel mondo criminale. Hli ultrà hanno costretto ad andarsene, anche con la violenza, i tifosi non appartenenti ai gruppi organizzati che volevano restare a guardare la partita. Gianni Santucci ricostruisce così l’accaduto grazie alla testimonianza di un tifoso:

«Strillavano: “Adesso usciamo tutti”. Un signore vicino a me ha detto: “State scherzando? Io resto qua”. Uno gli ha risposto: “Invece te ne vai, sennò ti spacco la faccia”. Il ragazzotto s’è avvicinato per spintonarlo, ma ha perso l’equilibrio tra i seggiolini ed è caduto. C’è stato un momento di tensione, stava per scattare il parapiglia. Ci siamo messi in mezzo e abbiamo parlato con l’altro che dava ordini. Ci ha detto: “Dovete uscire sennò vengono e vi picchiano, rischiate grosso”. I capi non si spostano, mandano avanti i ragazzetti a dare gli ordini. Però sai che i tizi pesanti stanno là, e che se ti opponi magari dopo, in un punto senza telecamere, te ne ritrovi addosso due o tre e qualche cazzotto lo prendi. Io pugni o calci non ne ho visti, ma urlacci, minacce e spintoni sì. Alla fine la gente lo sa come funziona: anche se non te ne frega niente e vuoi solo vedere la partita, te ne vai, perché sono persone pericolose». In linguaggio teorico, si definisce intimidazione ambientale. In curva è la regola.

«Mi sono informato, quello che è successo è inaccettabile, non è tollerabile. Sono certo che saranno presi immediati provvedimenti. Non solo parole!» ha scritto su twitter il ministro dello Sport, Andrea Abodi , rispondendo a un utente che ieri pomeriggio aveva fatto appello a lui per prendere provvedimenti durante Inter-Sampdoria. Finora è l’unica risposta del governo. I nostalgici del fascismo a Predappio Circa duemila fascisti si sono riuniti ieri per celebrare il centenario della marcia su Roma a Predappio , la cittadina in provincia di Forlì che diede i natali a Benito Mussolini e dove il dittatore sconfitto è sepolto. Fabrizio Caccia era lì e racconta il raduno così:

Nostalgici del Ventennio che sfilano cantando «Faccetta nera» e «All’armi siam fascisti». Eppoi camicie nere, croci celtiche, tatuaggi, saluti romani, fasci littori, fez. Perfino bimbi vestiti da Balilla e bavaglini per bebè con la scritta «me ne frego» in vendita nei negozi di souvenir. Oltre 2 mila persone ieri a Predappio, paese natale di Benito Mussolini, per il centenario della marcia su Roma. Davanti al cimitero di San Cassiano, dove riposa il Duce, i discorsi di Orsola e Vittoria Mussolini, pronipoti del dittatore: «Se dopo 100 anni siamo ancora qui è per rendere omaggio a colui che questo Stato volle e al quale non faremo mai mancare la nostra ammirazione», ha detto Orsola, ricordando le opere pubbliche realizzate dal bisnonno ma non le leggi razziali. Ad aprire il corteo, i labari degli Arditi: erano i reparti d’assalto del Regio Esercito nella Grande Guerra. I reduci poi seguirono D’Annunzio nell’impresa di Fiume, in molti aderirono al fascismo e presero parte alla marcia su Roma. L’organizzatore dell’evento, Mirco Santarelli, portavoce degli Arditi d’Italia di Ravenna, ha invitato i partecipanti a non fare il saluto romano nel momento del «Presente» a Mussolini e a mettersi piuttosto una mano sul cuore, per non avere problemi con la giustizia. In tanti, però, non l’hanno seguito. «Folclore il nostro? — ha detto — Almeno il 60 per cento di quelli che sono qui ha votato per Meloni e il centrodestra. Anch’io l’ho votata. Ma se un giorno dovesse togliere la fiamma dal simbolo, questi voti li perderebbe». Il Pd, con la senatrice Sandra Zampa, annuncia un’interrogazione: «Non hanno niente da dire su questo Meloni e Piantedosi? L’unico problema per sicurezza e ordine pubblico sono studenti che protestano o migranti?» .

«Occorre una più incisiva personalizzazione dei piani di studio» e bisogna «potenziare l’istruzione tecnico-professionale che va costruita in filiera con l’Istruzione Tecnica Superiore». Lo dice il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara , intervistato da Gianna Fregonara. «La mascherina è fondamentale per proteggere i pazienti. Un conto è farne a meno nei luoghi dove affluiscono persone sane. Non indossarla nei reparti di malattie infettive e in oncologia sarebbe una follia. O ancora nelle residenze per anziani e nei pronto soccorso. Siamo in una fase il cui il virus circola anche se la curva dell’epidemia dovrebbe aver toccato il picco». Così Antonio Ferro , presidente della Siti, la Società italiana di igiene, medicina preventiva e sanità pubblica, a proposito delle nuove misure di gestione della pandemia (qui l’intervista). Della questione scrive anche Ilaria Capua nel commento che trovate qui sotto. Il ministro per le Autonomie e gli Affari regionali Roberto Calderoli è stato ricoverato per controlli all’istituto oncologico Veneto di Padova e non parteciperà al primo Consiglio dei ministri operativo del governo Meloni. «Sarò sotto anestesia» spiega a Cesare Zapperi. Il ministro leghista convive con un tumore dal 2012.

La Russia ha deciso di sospendere «a tempo indeterminato» la sua partecipazione all’intesa sull’esportazione di grano , dopo l’ultimo attacco ucriano in Crimea. Lula , a dodici anni dall’ultimo mandato, è di nuovo presidente del Brasile: «Il giorno più importante della mia vita». Sconfitto per un soffio il candidato della destra e capo di Stato uscente Jair Bolsonaro . «Nostro figlio non ha preso la decisione di togliersi la vita: Claudio è morto perché non ha resistito ai crudeli maltrattamenti e agli atroci abusi che ha subito da parte della scuola». Elisabetta Benesatto e Mauro Mandia, raccontano la storia del figlio, 17 anni, morto suicida dopo essere stato tenuto in una forma di isolamento per quasi quattro giorni dalla EF Academy, un collegio privato di Thornwood, pochi chilometri a nord di New York. Tre giorni dopo aver acquistato Twitter Elon Musk ha postato sul social un link a una teoria complottista sull’assalto al marito della leader democratica Nancy Pelosi e poi lo ha cancellato. Una mossa che alimenta i dubbi e le critiche su come il patron di Tesla combatterà la disinformazione e l’incitamento all’odio e alla violenza sulla piattaforma. Nel nuovo Dataroom Milena Gabanelli e Simona Ravizza raccontano la penuria di medici (anche per gli anni a venire) che mette a rischio la già maltrattata sanità pubblica. Amanda Knox ha incontrato Raffaele Sollecito a Gubbio, lo scorso giugno. I due erano stati indagati, processati e assolti per il delitto di Meredith Kercher. Max Verstappen ha vinto il Gran Premio del Messico ed è entrato nella storia della F1: è la sua quattordicesima vittoria in stagione, un record che supera anche quelli di Sebastian Vettel e Michael Schumacher. Secondo Lewis Hamilton, terzo Sergio Perez. Male per le Ferrari che chiudono quinta e sesta con Sainz e Leclerc. Il Torino ha battuto 2 a 1 il Milan . I rossoneri non perdevano in trasferta da 17 partite di campionato (qui le pagelle). La Lazio ha perso 1 a 3 all’Olimpico contro la Salernitana .

Da ascoltare In Italia il gap digitale tra le diverse zone del territorio ha origini in primo luogo geografiche, ma anche economiche e culturali. Oggi nel podcast Corriere Daily (che potete ascoltare qui) Giulia Cimpanelli (racconta e analizza i progetti di riduzione della distanza fra le realtà più e meno connesse, mentre il sociologo Filippo Barbera spiega come questo processo potrebbe aiutare una porzione significativa di abitanti a uscire da un pericoloso equivoco creato da una certa idea di turismo. Qui sotto ci sono le analisi e gli approfondimenti. Tutte le altre notizie e gli aggiornamenti sono su corriere.it. Buona lettura e buon lunedì! (Nella foto in apertura Luiz Inacio Lula da Silva, bacia la ricevuta dopo aver votato al ballottaggio delle elezioni presidenziali a San Paolo. Lo scatto è di Andre Penner/Ap. Siamo la Redazione Digital, se vi va scriveteci, leggiamo tutte le mail, anche quando non rispondiamo: gmercuri@rcs.it, langelini@rcs.it, etebano@rcs.it, atrocino@rcs.it)

D obbiamo trascinare il reddito di cittadinanza fuori dal dibattito tra opposte fazioni. Ricondurre la discussione al cuore vero del problema: cosa serve al Paese per combattere la povertà e cosa può facilitare l’ingresso o il ritorno al lavoro di tantissimi disoccupati. Tutti gli Stati europei hanno forme di sussidio per chi non può svolgere un’occupazione o per chi il lavoro lo ha perso. È fondamentale non far passare però il seguente messaggio profondamente sbagliato: meglio non cercarsi un’occupazione o meglio svolgere qualche attività in nero, tanto a me ci pensa lo Stato. Circoscriviamo bene le aree di povertà, di disagio e di fragilità e interveniamo.

Per tutto il resto facciamo finalmente le scelte giuste: crescita sana, spinta alle aziende a investire, percorsi di riqualificazione per chi ha perso il lavoro. E soprattutto regole rigide: non si possono rifiutare offerte accettabili perché si preferisce percepire il reddito. Questo credo debba essere lo schema generale. Ma si può fare anche altro: quella che lei propone è un’ottima idea, dare in cambio del reddito almeno un impegno civile e sociale nelle proprie comunità. Qualcosa del genere era previsto anche nell’attuale legge ma come spesso accade in Italia è svanito nel nulla. Non è per niente serio: pensi a quanto sarebbe utile alle nostre città, alle nostre spiagge, ai nostri monti un impegno per migliorare la cura e il decoro. (Risposta al lettore Piero Orso. Qui la sua lettera al Direttore

La salute non è un tema burocratico: ognuno di noi quando ha un problema serio pretende, giustamente, di essere curato in fretta e al meglio. Perché ciò sia possibile devono essere innanzitutto accorciate le liste di attesa che continuano a tenere in ostaggio chiunque debba fare un esame o una visita e non può permettersi di pagare di tasca propria. È necessario, poi, che ci sia il medico giusto nel posto giusto e che abbia il tempo necessario da dedicarci. Tutto questo oggi non avviene per una ragione su tutte: negli ospedali italiani mancano medici . Ce l’ha dimostrato in modo drammatico la pandemia Covid , e lo tocchiamo con mano ogni volta che dobbiamo prenotare una prestazione medica. E adesso dobbiamo fare anche i conti con il fenomeno dei medici a gettone , pagati a turno e portati in corsia dalle cooperative per tappare i buchi di organico, ma senza garanzie di qualità dell’assistenza per i pazienti: si tratta di neolaureati, o specializzati che possono finire in reparti diversi dalla loro competenza. In assenza di controlli lo stesso gettonista, fra turni diurni e notturni può fare anche 36/48 ore di fila saltando da un Pronto soccorso all’altro.

Siamo scivolati in questo colabrodo per due ragioni. La prima: le corsie si sono via via svuotate per il blocco del turnover scattato dal 2005 con il governo Berlusconi 2 e proseguito con il Prodi 2, Berlusconi 3, Monti, Letta, Renzi. Come media a livello nazionale su cento medici andati in pensione, 10 non sono stati sostituiti. Ma in Regioni come il Lazio, la Sicilia e la Campania il numero sale a 31. La seconda: cattiva programmazione . Negli anni i ministeri preposti non hanno tenuto il conto di quanti medici uscivano dal sistema sanitario nazionale per andare in pensione formandone altrettanti in grado di entrare. Risultato: tra il 2015 e il 2022 il saldo negativo tra pensionati e nuovi specialisti è stato di 15.585. Il ministero della Salute corregge il tiro a partire dal 2019, quando il ministro Giulia Grillo sblocca il turnover (portando le assunzioni possibili a un più 10%) e aumenta il numero dei posti per le scuole di specializzazione. Siccome per formare uno specialista sono necessari 4-5 anni, almeno fino al 2024 sconteremo gli effetti della programmazione sbagliata. Per il 2022 e il 2023 il saldo tra pensionabili e nuovi specialisti è ancora negativo: meno 1.189. La domanda che s’impone adesso è: da qui al 2027 avremo un numero di medici sufficiente a garantire l’assistenza necessaria? Vediamo cosa dicono i dati che Agenas, l’Agenzia Nazionale per i servizi sanitari regionali che fa capo al ministero della Salute, ha elaborato in esclusiva per Dataroom .

Su 103.092 medici che oggi lavorano negli ospedali, nei prossimi 5 anni maturano i requisiti per andare in pensione in 29.331. Gli attuali buchi di organico non sono quantificabili, ma sappiamo che il 10% non è stato sostituito per il blocco del turnover, vuol dire che almeno altri 13 mila medici mancano all’appello . Il fabbisogno totale al 2027 è dunque di 42.331 ospedalieri. Quanti nuovi specialisti saranno sfornati per allora dalle Scuole di Specialità? Siccome per formarli ci vogliono 4-5 anni, dobbiamo prendere i contratti di specialità messi a disposizione tra il 2017/18 e il 2021/2022 (passati da 6.200 a 14.378 l’anno). In totale sono complessivamente 62.350. Tenuto conto che il 10% non finisce gli studi e il 25% non resta a lavorare nel Ssn, vuol dire che per gli ospedali pubblici saranno pronti, sempre al 2027, 42.086 specialisti. Le entrate e le uscite sono quindi in equilibrio. Va inoltre calcolato che con gli interventi straordinari per la pandemia sono stati assunti a tempo indeterminato 1.350 medici e altri 9.409 a tempo determinato fino a dicembre 2022, e se saranno confermati daranno una boccata d’ossigeno per arrivare al 2027. Tutto bene quindi. Non proprio: i conti tornano sulla carta, ma nella realtà le cose vanno in tutt’altra maniera.

Banditi i posti nelle Scuole, alcune specialità, tra l’altro proprio quelle di cui c’è più bisogno, non vengono scelte: quest’anno in Medicina d’emergenza e urgenza il 57% dei posti non è coperto; in Anestesia e rianimazione il 17%; in Radioterapia il 74% . E la lista può continuare. Oggi il 71% dei primi 1.000 in graduatoria che hanno passato il concorso scelgono 7 specialità su 51, ossia quelle con più appeal: cardiologia, dermatologia, pediatria, neurologia, oculistica, endocrinologia e chirurgia plastica . Per risolvere il problema chi fa programmazione (il ministero della Salute) e chi bandisce i posti nelle scuole di specializzazione (il Miur) deve bilanciare l’offerta riducendo i posti nelle specialità più richieste. Solo così è possibile andare a coprire le reali esigenze del Ssn che emergono drammaticamente dall’infinità di concorsi pubblici per assumere medici ospedalieri che vanno deserti. Inoltre vanno aggiunti riconoscimenti economici per rendere attrattivo il lavoro in ospedale dove oggi si registra una grande fuga: solo nel 2021 hanno deciso di licenziarsi 2.886 medici, sfiniti dalla vita in corsia . I dati della Federazione europea dei medici specialisti del 2017 dicevano che in Italia gli ospedalieri guadagnavano poco più di 80 mila euro, contro gli 85 mila dei pari grado francesi, i 130 mila dei colleghi inglesi e i 150 mila dei tedeschi . In questi 5 anni nel resto d’Europa gli stipendi sono aumentati ancora, quelli dei nostri medici sono rimasti fermi (tranne un aumento di 160 euro lordi al mese per chi firma il diritto di esclusiva), e non si intravede un passo per riconoscere il valore dell’ospedaliero, nonostante l’eroica dedizione dimostrata nei momenti più drammatici della pandemia.

Lo stesso discorso vale per i medici di famiglia e gli infermieri che sono gli assi portanti del potenziamento delle cure sul territorio previsto dal Pnrr con le case e gli ospedali di comunità. Anche qui dai dati Agenas risulta che l’offerta formativa è in grado di coprire i numeri di pensionamenti per lo stesso periodo. Degli oltre 264mila infermieri di oggi matureranno i requisiti per la pensione in 21 mila, mentre 13.200 mancano per coprire i buchi di organico . Al 2027 completeranno la formazione in 61.760. Per quella data dovremmo quindi farcela a coprire anche la richiesta necessaria per fare funzionare ospedali e case di comunità. La stessa situazione riguarda i medici di base: dei 40.250 oggi in servizio, tra il 2022 e il 2027 ne andranno in pensione 11.261, e saranno disponibili, a legislazione costante, 13.895 posti per la formazione. Ma ancora una volta sono solo conti sulla carta. Basta guardare cosa succede in Lombardia: nel febbraio 2022 al corso di formazione per diventare dottori di famiglia sono messi a disposizione 626 posti, al test si presentano in 502, accettano in 379, e i frequentanti oggi sono 331, cioè la metà. D’altronde, finché la borsa di studio dei neolaureati che si iscrivono al corso di formazione triennale è di 11 mila euro l’anno contro i 26 mila di chi sceglie il corso di specializzazione, è evidente che la professione del medico di famiglia è considerata di serie B . (Qui l’articolo completo)

Il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara si occupa da sempre di scuola e università. Professore di diritto romano a Torino, preside all’Università Europea dei legionari di Cristo a Roma, già capo dipartimento ministero dell’Istruzione con Bussetti. Senatore di An per tre legislature, è stato relatore della legge Gelmini per l’università, ha poi scritto il manifesto della Lega «L’Italia che vorrei» (un indizio: qui il sostantivo merito compare 18 volte), ha diretto la rivista Logos , luogo di dibattito del sovranismo e della sovranità popolare con contatti oltre Oceano e fondato il think tank Lettera 150 (300 professori universitari, crogiolo di idee per Matteo Salvini). Le sue priorità: l’Alleanza per il Merito e il rafforzamento della filiera tecnica e professionale aprendola ai territori.

Perché avete cambiato nome al ministero, aggiungendo il sostantivo merito? «Perché la scuola oggi è una scuola classista. Non è la scuola dell’eguaglianza e non aiuta i ragazzi a realizzarsi costruendosi una soddisfacente vita adulta. La dispersione è al 12,7 per cento, se aggiungiamo quella implicita (cioè di chi ha il diploma ma non le competenze minime), sale ad un preoccupante 20 per cento. Tutto questo dentro un divario di apprendimento tra i territori. Come ha scritto sul Corriere Ernesto Galli Della Loggia, “non è una scuola dell’eguaglianza perché non è una scuola del merito”. Parte da questa consapevolezza la sfida del merito, che dà sostanza alla parola Istruzione».

Come tradurrà questa sostanza in misure concrete per - cito le sue parole - «valorizzare i talenti di ognuno»? «Occorre una più incisiva personalizzazione dei piani di studio, anche con una articolazione della funzione docente, che consenta di coltivare le potenzialità di tutti, sostenendo chi è in difficoltà e alimentando le capacità dei più bravi. Bisogna garantire un orientamento che fornisca alle famiglie e agli studenti le informazioni per effettuare scelte consapevoli dalla scuola media. È inoltre fondamentale potenziare l’istruzione tecnico-professionale che va costruita in filiera con l’Istruzione Tecnica Superiore. La riforma degli Istituti tecnici e professionali, ai quali si iscrive poco meno della metà degli studenti e che troppo spesso non garantisce una preparazione adeguata, va fatta entro dicembre».

Da quali misure partirà? «L’istruzione tecnico-professionale deve avere pari dignità dell’istruzione liceale. Deve fornire solide competenze di base e vanno rafforzate le discipline caratterizzanti con investimenti importanti nelle attività laboratoriali. La formazione tecnico professionale è dove si giocano le capacità pratiche che possono garantire a molteplici talenti una maggiore occupabilità insieme con una più forte competitività del sistema imprenditoriale. Come gli Its, le scuole devono poter utilizzare anche le migliori competenze professionali offerte dalle imprese. Vanno ridefiniti i profili professionali sulla base delle reali esigenze del territorio».

Come pensa di fare? «È con questo spirito che propongo una grande Alleanza per il Merito alle famiglie, al sistema-scuola, alle parti sociali: un’Alleanza che permetta ad ogni studente, con la doverosa attenzione agli alunni con disabilità e bisogni speciali a cui va garantita stabilità di sostegno, di perseguire quel “pieno sviluppo della persona umana” affermato nell’articolo 3 della Costituzione».

Il Parlamento in estate aveva approvato la riforma degli Its, gli istituti tecnologici superiori che diventano il completamento, post diploma, dell’istruzione tecnica. Le piace o la cambierà? «Gli Its devono diventare l’altro pilastro, parallelo all’università, per formare le professionalità di cui l’industria ha bisogno. Abbiamo 1,5 miliardi di euro nel Pnrr, correremo per varare i 19 decreti attuativi entro l’anno e dobbiamo farlo nell’interlocuzione con regioni e parti sociali».

Quando lei parla di merito pensa anche alla valutazione degli insegnanti e ad articolarne la carriera, come? «Guardare al merito degli insegnanti significa riaffermare il loro alto ruolo sociale, strategico per lo sviluppo del Paese, riconoscendo anche economicamente impegno e competenza. Mi batterò perché quella del docente torni ad essere una figura autorevole, caratterizzata dal rispetto, dalla dignità e dal decoro: dobbiamo anche prevedere misure efficaci per tutelare l’autorevolezza degli insegnanti e la serenità del loro lavoro, riscoprendo negli studenti l’educazione alla cittadinanza: la scuola del merito deve educare all’impegno e alla responsabilità e deve pretenderli. Ma, anche considerando il recente caso del prof di Firenze che ha scritto una bestemmia in un post, sono i docenti per primi che non devono mai venire meno al loro ruolo di educatori».

A proposito di insegnanti: il contratto. Troverà i fondi per l’aumento di 100 euro? «Nella legge di Bilancio ci sarà grande attenzione alla scuola, senza dover toccare il fondo per la valorizzazione professionale. Già giovedì incontrerò i sindacati».

Che non si fidano di lei che è stato il relatore della legge Gelmini, i cui tagli hanno contribuito a peggiorare il sistema scolastico. Ne cito uno per tutti: le classi pollaio. «Rispondo una volta per tutte alla fake news del Valditara che avrebbe tagliato fondi alla scuola: sono stato relatore della legge 240 solo sull’università e condizionai il mio consenso all’impegno del governo a stanziare ogni anno 500 milioni per gli atenei. Prima avevo portato un aumento di 350 euro al mese per i dottorandi e una tassa sul fumo per dare 400 milioni all’anno alla ricerca. Per me oggi inizia una fase di confronto: l’Alleanza per il Merito si costruisce con il dialogo». (L’intervista completa sul sito del Corriere )

Davvero, ed empaticamente, comprendo il desiderio di lasciarsi la pandemia alle spalle e non pensarci proprio più, mai più. Vedo e leggo negli sguardi un desiderio di libertà da questo oppressore invisibile e inatteso che ci ha stravolto le vite. Le restrizioni e le mascherine sono stati strumenti di impedimento della nostra libertà — persino quella di avvicinarci ai nostri cari, di abbracciarli e stringerci a loro — e vorremmo che anche il ricordo di quel disagio svanisse per sempre e che portasse con sé quelle inquietanti paure. Ma le pandemie, ahimè, non sono fantocci di cartapesta a cui si può dare fuoco e farli volatilizzare in aria e cenere. Le pandemie, ahimè, non svaniscono, non scompaiono ma si trasformano . Ed è proprio questa trasformazione che siamo chiamati a governare. L’appello chiaro e diretto del presidente Mattarella ha molti motivi per essere ascoltato e applicato perché la situazione è davvero molto a rischio.

Le varianti di Sars-CoV-2 continuano ad emergere e ad evolversi e così sarà anche per gli anni a venire. Questo lo sapevamo e sappiamo pure che più il virus gira nella popolazione, maggiore è il rischio di generazione di varianti con caratteristiche diverse da quelle dei virus attuali. Difficile prevederle, le caratteristiche. Vi chiederete: ma si genereranno varianti che «bucano» l’immunità? Certo che sì, soprattutto se l’immunità non è ottimale. Possibile che arrivino varianti più patogene? Certo che è possibile. Insomma, Sars-CoV-2, che non esisteva fino a tre anni fa, è ancora qui, insidioso e sfuggente . Ma non è il solo.

Le restrizioni alla mobilità personale da cui vogliamo fuggire hanno rallentato la corsa del Sars- CoV-2 ma anche quella degli altri virus respiratori fra cui l’influenza e il virus respiratorio sinciziale . L’incidenza di queste due infezioni è stata bassissima negli anni 20-21, appunto perché le misure messe in atto hanno funzionato, ovvero è stata praticamente bloccata la circolazione virale di questi due frequentatori invernali delle nostre vie respiratorie e di quelle dei nostri bimbi. Richiamando le parole del Presidente Mattarella «non possiamo proclamare la vittoria finale contro il Covid», «dobbiamo far uso di responsabilità e precauzioni», vorrei aggiungere che proprio perché di inverno i virus respiratori circolano di più, oltre all’ondata di contagi con relative conseguenze che inevitabilmente avverrà per il Covid, ci saranno ondate aggressive di patogeni respiratori che sembravano scomparsi oppure caduti nel dimenticatoio.

Il problema vero è che questa galoppata inesorabile dei virus con cui conviviamo da anni si scontra violentemente con il desiderio legittimo delle persone di libertà, e soprattutto di liberazione dall’odiata mascherina. Io però vorrei aggrapparmi all’appello di Mattarella e pregarvi di proseguire con i richiami vaccinali per mantenere l’immunità della popolazione almeno ai livelli minimi di efficacia. E chiedo con forza e insistenza — almeno a chi entra in ospedale — di mettere la mascherina . Abbiamo visto e vissuto durante la recente esperienza passata che gli ospedali e le strutture sanitarie possono diventare epicentri di contagio e di amplificazione della circolazione virale. Per quale motivo, mi chiederete voi, ma non dovevamo imparare a conviverci? Certo, l’obbiettivo è conviverci ma noi non siamo tutti uguali . Le strutture sanitarie sono frequentate soprattutto da persone fragili e ammalate che rischierebbero grosso (anche solo in termini di ritardi per l’interventistica o per entrare all’interno di percorsi di cura) in caso di una infezione ospedaliera virale o batterica che sia. Non possiamo neanche far finta che le nostre strutture sanitarie siano in buona salute: sono affette da una grave emorragia post-Covid di personale specializzato e hanno bisogno di rinforzi piuttosto che di altre ondate di infezione.

La pandemia da Covid ha portato via vite e anni di salute a molti cittadini italiani e ha prosciugato le forze dei servizi sanitari. La forza con la quale si abbatteranno le infezioni respiratorie durante questo inverno infarcito di incertezze non possiamo prevederla perché dipenderà anche dal senso di responsabilità e dalle precauzioni che metteremo in atto come Homo sapiens . Ma soprattutto, proprio in virtù della nostra autoproclamata condizione di sapiens, dovremmo farlo per rispetto di chi non c’è più, di chi avrà bisogno di cure per malattie gravi e di chi non ce la fa più ad affrontare le ramificazioni di un problema sanitario in via di normalizzazione ma che potrebbe diventare di nuovo ingovernabile con l’aiuto di alcuni sapiens non hanno voglia di mettersi la mascherina in ospedale.

La convivenza con un problema significa adoperarsi per combatterlo , non serve cercare di rimuoverlo o spazzare via il buonsenso per alimentare comportamenti bizzarri e irragionevoli, oltre che pericolosi.